Filosofia di vita

«Siamo belli perché siamo pieni di difetti, non perché siamo onnipotenti, ma perché siamo fragili, perché ci tremano le gambe, perché siamo goffi, perché abbiamo paura, perché abbiamo bisogno di amore, per questo siamo belli!»

Nichi Vendola

sabato 12 marzo 2011

Cosa serve ad un partito per vincere.

Immagine tratta dall'omonimo film di Bellocchio, "Vincere" del 2009
Ora, dopo qualche campagna elettorale subita e due voti elettorali espressi mi sento di abbozzare un idea di ciò che manca completamente ai partiti dell'Italia di oggi per poter vincere ma, ancor prima, per essere partiti veri, di base, di idee e di popolo.
A. Avere una visione chiara di quali sono le priorità del paese, saperle articolare e saperle comunicare efficacemente.
Volete qualche esempio?
Per inciso una cosina così:
1. Deficit economico.
2. Lavoro, salari e disoccupazione.
3. Competitività e sostenibilità della piccola e media impresa.
4. Incentivi e de-burocratizzazione. Esempi? In Spagna c'è uno sportello unico per chi vuole metter su impresa, uno sportello che fa da intermediario con i vari notai, contabili e scartabellari statali vari, per i quali nel Belpaese bisogna fare code, attendere tempi improponibili e pagare cifre esorbitanti i più vari professionisti che ti servono solo per avere la carta bollata.
(Ora, qualsiasi imprecisione è frutto della cattiva memoria, invito chiunque a correggere e a implementare, commentando il post.) Ma gli incentivi non possono essere solo per chi fa impresa; il merito deve essere vero merito, e quindi non si può imporre ad un laureato con 110 e lode in tre anni spaccati di avere un reddito da fame per poter accedere alle borse di studio statali e parastatali a disposizione.
Bisogna cominciare a liberalizzare, a schiudere le caste degli avvocati, dei notai, dei farmacisti e così via, perchè ogni ordine professionale è chiuso e autogiudicantesi, è quindi assurdo rilevarlo solo per i pubblici ministeri (perchè fa comodo a B.) ma non per tutti gli altri ordini.
5. Collegato al punto quattro, ovviamente: scuola pubblica, università e ricerca.
Bisogna rinverdire i fondi alle università e alle scuole italiane, perchè l'istruzione è un bene primario, perchè l'istruzione fa cultura, perchè la ricerca è necessaria per la competitività dell'Italia, perchè c'è gente che di scuola ci vive e che vorrebbe viverci, dal personale non docente a tutti i maestri elementari, i professori, i ricercatori, i supplenti, i ricercatori, gli associati e ovviamente anche gli ordinari, che non sono tutti baroni.
E bisogna riformare, riformare NON tagliando ma rendendo i concorsi più rigidi e trasparenti (non è possibile che un dottorando prenda la borsa solo se "ha un angelo in commissione") e magari creando una sorta di gradi di merito a seconda del voto e del numero di anni in cui ci si è laureati, ovviamente tenendo conto delle diverse votazioni tipo che variano da una facoltà all'altra.
6. Valorizzare il patrimonio culturale, ambientale e museistico italiano, perchè patrimonio nazionale (se non dell'umanità), fonte non indifferente di introiti turistici e non per ultimo, immagine dell'Italia all'estero.
Tutelare l'ecologia del sistema Italia, barbaramente assediato dalla macanza di una assennata e capillare raccolta differenziata e flagellato da amministrazioni sconsiderate e da parchi nazionali smembrati a mo' di premio politico.
7. Attuare un federalismo serio, che non imponga nuove gabelle (per mettere una pezza alla propagandistica abolizione dell'Ici, sostituita adesso dal monster dell'Imu, l'Imposta Municipale Unica) ma che permetta per esempio ai sindaci di disporre di un potere sufficiente a tenere in sicurezza le nostre città.
Collegato a questo c'è il problema degli scarsissimi fondi alle forze dell'ordine che, assieme ai poteri limitati dei sindaci pongono città grandi come Milano e Roma in condizione di essere di fatto sguarnite, per non parlare poi dei piccoli comuni e delle caserme fantasma.
8. Dare di nuovo spazio, respiro e battaglia per i grandi diritti civili, dalla tutela delle differenze (in particolare verso gli immigrati e gli omosessuali, categorie differentissime, ma visti gli uni come criminali e gli altri come appestati), al diritto di vita e al diritto di morte (testamento biologico e lotta per mantenere le conquiste sull'aborto e spingerci oltre verso lo spinoso tema delle adozioni e della fecondazione artificiale).
9. Dare un'occhio alle privatizzazioni sbagliate (cito solo Trenitalia, privatizzata in parte, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti) e darsi da fare nella manutenzione di strade, ferrovie, e quant'altro sia fondamentale al buon funzionamento del territorio e non solo. Creare lavoro tramite oculate opere pubbliche (magari rendendo utilizzabili quelle concluse a metà e mai giunte a termine) e sorvegliare gli appalti affinchè non cadano nelle maglie della criminalità organizzata o di furbi imprenditori dediti più alle scalate che ad altro.
10. Ultimo ma non ultimo parlare di legalità, di lotta alle mafie e alla corruzione (e farla bene, ad esempio potenziando gli strumenti di inchiesta e non seppellendoli del tutto) e farla la legalità, non solo parlarne.

B. Credibilità, serietà, integrità (ovvero non corruzione), trasparenza e compattezza.
Se il Pdl può per assurdo essere l'esempio più paradigmatico di un partito unito e compatto (a differenza dello sformato correntismo suicida del Pd), bhe, ovviamente non può certo egersi a pietra di paragone per quanto riguarda la specchiatezza, la credibilità e la fedina penale immacolata.
La domanda ovviamente, non è tanto sul Pdl e la sua pronità al capo (nonostante teste pensanti come quella di Tremonti) ma riguarda il Pd e su come un partito possa proporsi come alternativa di governo se non è neanche consapevole di chi è, dove (e con chi) va e cosa vuole.

C. Un leader serio, concreto e carismatico.
Di credibiità e immagine, in quest'era irrimediabilmente segnata (nel bene e nel male) dal berlusconismo, è specchio il leader di un partito; un leader che non deve imbarazzare nè per le sue notti brave, nè per le sue case ad Antigua, nè per l'essere telecomandato da D'Alema, nè per una chiara e quantomai poco scenografica forma di analfabetismo di ritorno.
Un leader deve essere la guida del suo popolo e del suo partito e deve porsi l'antico compito dell'onore e del decoro, anche e a maggior ragione perchè si pone come possibile immagine vivente del suo stato nei confronti degli altri paesi.
Basti dare un'occhio al cambio di rotta dell'immagine se non che della politica statunitense dall'epoca Bush all'era Obama-Hillary.

D. L'apertura ai giovani, alle novità, alla base, all'attivismo, insomma a noi bistrattato popolo di elettori.
In una democrazia rappresentativa la rappresentanza è fondamentale, ed un partito che si rispetti deve rendere possibile ai cittadini il massimo avvicinamento possibile alla politica, in primo luogo con l'esempio (parlavo prima di onore, di coerenza e di rispettabilità non per nulla) ed in secondo luogo con la permeabilità osmotica del partito a chi del partito vuole diventare e anche a chi, da fuori, vuole proporre idee, iniziative e progetti che possano verosimilmente incarnarsi in una rivendicazione e in una bandiera (a)politica da piantare in parlamento.

Solo così un partito potrà avere la P maiuscola e uscire dalla partitocrazia del piccolo e della lotta, se non della compravendita, delle poltrone.

E voi che ne dite?
Si accolgono liberamente commenti!

- Andrea Bello -

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