Filosofia di vita

«Siamo belli perché siamo pieni di difetti, non perché siamo onnipotenti, ma perché siamo fragili, perché ci tremano le gambe, perché siamo goffi, perché abbiamo paura, perché abbiamo bisogno di amore, per questo siamo belli!»

Nichi Vendola

sabato 28 luglio 2012

Province: riforma mal fatta, e il Sant’Artemio resti un patrimonio pubblico



La ridefinizione delle province decisa dal Governo Monti è un provvedimento molto carente dal punto di vista tecnico, frutto di frettolosità e superficialità e di una ideologia accentratrice. Si conferma o si boccia l’esistenza di province in base a criteri arbitrati e immotivati, il criteri quantitativi di almeno 350.000 abitanti in una superficie superiore a 2.500 kmq, e il criterio politico di ospitare capoluoghi di Regione (si salva così Campobasso). Nessuna valutazione qualitativa, nessun disegno di riorganizzazione generale dell’articolazione della Repubblica nel quale inserire il provvedimento. Solo ansia di tagli, come se bastasse l’agitar di mannaia per costruire un modello più efficiente di governo locale.
Siamo di fronte ad un processo di estrema verticalizzazione e centralizzazione dell’assetto statale, e ad una riduzione della possibilità di scelta e di partecipazione dei cittadini. Infatti a fianco della riduzione del numero delle province, procede l’idea di farne degli enti non più espressione del voto popolare, ma di spartizioni tra le segreterie dei partiti maggiori presenti nei consigli comunali del territorio provinciale. I cittadini potranno solamente apprendere dai giornali quale presidente della Provincia i partiti hanno scelto di nominare. Figurarsi quali possibilità di partecipazione, o anche solo di confronto e dialogo, potrebbero avere con una istituzione i cui vertici rispondono ai partiti e non agli elettori.
Si inverte inoltre un processo di decentramento avviato, ormai da anni, all’insegna della sussidiarietà tra livelli di governo. Alle nuove province verrebbe tolta la competenza sulle politiche del lavoro, attive e passive, e sul sistema socio-economico in generale. Verrebbe così colpita la concertazione territoriale, tanto osteggiata dal premier Monti, e che però ha rappresentato e rappresenta uno degli elementi di tenuta e di possibilità di ripresa dello sviluppo locale. E quale nuovo modello di gestione dei centri per l’impiego si profila, nel momento in cui la crisi sociale ed economica dovrebbe portare ad un rafforzamento e ad una qualificazione di questi presidi pubblici e non magari ad un loro ritorno a logiche di funzionamento di tipo ministeriale, o peggio ancora alla loro liquidazione a favore del privato ?
Ci pare svilente e indegno di un paese serio, l’aver avviato un dibattito sullo spostamento di confini, se tu dai un comune a me io poi do un comune a te, per rientrare o meno negli astratti parametri del governo, senza che venga in primo piano la questione di come dare risposte nel modo migliore ai problemi dei territori, la crisi occupazionale ed economica, la fragilità ambientale, un governo del territorio più ordinato e più sostenibile, la qualificazione e non la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, un sistema di trasporto pubblico che liberi dalla dittatura obbligatoria del trasporto privato, la sicurezza e l’adeguatezza dei luoghi di studio e di lavoro. A questo livello di discussione si può anche porre la questione del’esistenza stessa delle province, ma quella che cammina oggi è invece la logica opprimente e sciocca dei tagli, che applicata in questo contesto non comporta risparmi significativi di denaro ma solo riduzione di democrazia e di rappresentatività delle istituzioni.
In questo contesto la questione relativa al futuro della sede del Sant’Artemio, ammesso e non concesso che si vada verso una sparizione totale dell’Ente Provincia che attualmente non è all’ordine del giorno, va secondo noi posta in termini opposti rispetto a delle bizzarre proposte emerse negli ultimi giorni. Ci opponiamo ad una privatizzazione del complesso del Sant’Artemio, tanto più per farne un luogo ad esclusiva frequentazione di senatori ed altri ricchi o ricchissimi, o ad una sua cessione per utilizzi privati, e riteniamo che invece quel complesso debba essere considerato come un bene comune della collettività trevigiana.  Ricordiamo in proposito le battaglie che tanti cittadini e associazioni fecero anni fa affinché si bloccasse la speculazione edilizia che  il Comune di Treviso intendeva autorizzare sul complesso messo in vendita dall’ULS. La rottura tra Zaia e De Poli produsse poi la scelta di localizzarvi la sede della Provincia, destinata altrimenti all’area Appiani, accompagnata da una promessa di apertura alla cittadinanza e alla collettività del complesso ex manicomiale che però non è stata mantenuta. Quello che si è realizzato è invece un mero spostamento degli uffici dispersi della provincia dentro il Sant’Artemio, in una sede sovradimensionata, come dimostra la recente cessione di un padiglione al Ministero dell’Istruzione. Per questo da tempo chiediamo che ci sia la messa a disposizione della collettività di quegli edifici non ancora presi per mano, che nel progetto originario erano destinati a ospitare il museo della psichiatria e l’archivio fotografico provinciale. E ricordiamo che l’edificio che nel primo progetto era destinato a foresteria, è stato invece adibito a stamperia per gli inviti della provincia. Chiediamo che il Sant’Artemio possa essere davvero, e non solo sugli slogan propagandistici, la casa dei trevigiani. Per questo chiediamo: l’accordo con la Fondazione Cassamarca per realizzare attorno a Villa Franchetti il campus universitario entro il febbraio 2016, con la costruzione di un enorme auditorium e alloggi per docenti e studenti, ha reali possibilità di avanzare ? o non è forse il caso di ridimensionare le pretese e aprire un tavolo con Cassamarca e i soggetti coinvolti con il sistema universitario di Treviso per verificare la possibilità di inserire il Sant’Artemio in questo contesto ?
In definitiva, ci sentiamo lontani sia dalle ipotesi di riforma arruffona e demagogica del Governo, tesa ad allontanare ancor più i cittadini dai luoghi dove si sceglie della loro vita, sia dagli atteggiamenti corporativi degli amministratori provinciali che non distinguono il loro destino personale dall’esigenza primaria a cui ogni funzione ed ogni livello di governo deve rispondere, e cioè dare soluzione ai problemi e alle questioni presenti in un territorio e in chi lo abita. Siamo contro la privatizzazione della politica e dell’amministrazione, e riteniamo che oggi il problema fondamentale della nostra democrazia sia quello di riaprire spazi pubblici, sia fisici che politici, nei quali possa venire in primo piano il protagonismo dei cittadini, e siano relegati sullo sfondo i potentati economici e finanziari che oggi surclassano le istituzioni e le amministrazioni pubbliche.

Luca De Marco
Coordinatore Provinciale
Sinistra Ecologia Libertà
Treviso

venerdì 27 luglio 2012

Chi semina strade raccoglie traffico, chi diffonde traffico incrementa lo smog


Ancora una nuova strada: la tangenziale Nord di Mogliano. Mentre il costo della benzina sta salendo alle stelle, si tagliano i fondi al trasporto pubblico locale, l’economia reale declina e i giovani non trovano occupazione, si spendono ben  9 milioni di euro per costruire una nuova strada inutile e dannosa.
Inutile perché si tratta di una strada parallela al Passante. Dannosa perché devasta un’ ulteriore porzione di  prezioso territorio agricolo. Dannosa perché sottrae risorse ad investimenti  prioritari.  Dannosa perché attirerà nuovo traffico e smog. Quest’ultima affermazione merita qualche spiegazione. I fautori della strada dicono che ridurrà il traffico in centro.  A prima vista sembrerebbe un argomento ragionevole.
In realtà, come è dimostrato da tutti gli studi condotti su scala internazionale, vale il detto degli esperti in pianificazione trasportistica: “Chi semina strade raccoglie traffico, chi diffonde traffico incrementa lo smog.”   Evidentemente ne sono consapevoli gli stessi progettisti  altrimenti non si spiegherebbe una rotatoria di ben 70 metri in via Cavalleggeri – oggi a traffico limitato- e un’altra di ben 100 metri di fronte a Villa Bianchi, su quel Terraglio che la Regione si appresta ad inserire nel piano paesaggistico come strada di valore storico culturale. Ma come si sa i progettati nuovi Centri Commerciali hanno bisogno di rotatorie per smaltire il traffico. Il risultato sarà la desertificazione del centro di Mogliano e delle sue attività commerciali.
Perché dunque sprecare altro prezioso territorio agricolo quando è già in funzione in Via Schiavona un casello del Passante e un altro è progettato a Cappella di Scorzè, gli stessi luoghi che la tangenziale si propone di unire? Non converrebbe esentare gli utenti  di questa tratta dal pagamento del pedaggio anziché sprecare nove milioni di euro in tempi di così gravi ristrettezze per i bilanci pubblici? Il sospetto è che a motivare la nuova opera sono ben altre ragioni. Come sempre accade, inevitabilmente, le aree adiacenti, oggi per lo più agricole o di pregio ambientale  saranno sottoposte a varianti urbanistiche che favoriranno l’edificazione, nonostante le migliaia di case sfitte nel nostro comune.
Guardiamo a quello che è successo in questi anni. Mentre il paese si impoveriva il settore immobiliare accumulava grandi ricchezze, senza alcun merito né imprenditoriale né innovativo.  
La città tentacolare si è così sparpagliata nel territorio trasformandosi  in una nebulosa urbana, cancellando luoghi identitari, beni ambientali e culturali, banalizzando ed omologando il paesaggio, degradando la qualità del vivere quotidiano di ognuno di noi. Questa forma territoriale dispersa ha prodotto guasti sociali ed economici dei quali c’è ancora scarsa consapevolezza. Il traffico si è aggravato perché i residenti sono stati espulsi dai nuclei urbani ma sono costretti a recarsi in città per lavorare. La frammentazione degli insediamenti ha aumentato i costi di gestione delle reti dei servizi (acqua, luce, fogne, rifiuti, trasporti) ed è la causa strutturale della crisi fiscale dei  comuni. Si sono inquinati i terreni, l’aria e l’acqua; si è distrutto un paesaggio celebrato nel passato come uno dei più significativi e preziosi a livello europeo.
Oggi si è sempre più consapevoli della utilità del verde urbano , essenziale per il suo ruolo di moderazione microclimatica, di depurazione dell’aria, di attenuazione dei rumori, per l’azione antisettica, il contributo alla difesa del suolo, alla depurazione idrica, alla conservazione della biodiversità.
Oggi sono in molti a pensare che NOVE milioni di euro potrebbero essere usati per tante cose più utili. Ad esempio, per offrire accesso al credito alle imprese in difficoltà, per  ristrutturare i propri involucri edilizi per renderli energeticamente più efficienti, per  sostenere le famiglie in difficoltà ed affermare il diritto allo studio di tanti giovani meritevoli ma senza mezzi.
Per concorrere a completare il Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale( SFMR )offrendo più treni, bus,  frequenti, regolari, puntuali, con maggiore qualità a bordo. Con Un unico biglietto a percorrenza chilometrica valido nell’intera Regione a prescindere dal vettore scelto. Si può: altri lo stanno facendo!
Serve la mobilitazione dei cittadini. SEL si propone di contribuire insieme a tutte le forze disponibili a concorrere per determinare una svolta nelle scelte politiche e amministrative del comune di Mogliano, nella provincia di Treviso, nella Regione Veneto e nell’intero Paese.

Ma queste strade non ci toglieranno solo soldi, ma anche pane. Se non a noi, ai nostri figli. Perchè sotto l'asfalto spariranno migliaia di ettari di fertili suoli agricoli della pianura padana.



Oscar Mancini
Responsabile Ambiente e Territorio
Sinistra Ecologia Libertà Veneto

mercoledì 25 luglio 2012

Contro la precarietà del lavoro e degli affetti



E' possibile firmare  presso il Punto Comune di Mogliano Veneto le Proposte di Legge di Iniziativa Popolare "Reddito Minimo Garantito", "Disciplina dell'unione civile, del patto civile di solidarietà e norme in materia di unione di fatto".

Dal Lunedì al Venerdì negli orari del Punto Comune, Piazzetta del Teatro
Lunedì e Venerdì ore 09.00-14.00
Martedì, Mercoledì, Giovedì ore 09.00-18.00 

sabato 21 luglio 2012

salvato il referendum dal colpo di mano di Lega e PDL


Sinistra Ecologia Libertà di Treviso esprime grande soddisfazione per la sentenza delle Corte Costituzionale che salva il referendum per l'acqua pubblica, che lo scorso anno ha contribuito con il proprio sostegno e impegno a rendere possibile e vincente.
Per la seconda volta il popolo del referendum a porta a casa una grande vittoria. Grazie all'iniziativa della Regione Puglia la Corte Costituzionale ha bocciato il tentativo di annullare l'esito referendario messo in atto a poche settimane dal voto dal governo Bossi Berlusconi, e proseguito poi dal Governo Monti.
Dopo il travolgente successo del referendum del 12 e 13 giugno 2011, che abrogava le norme volute da Fini Bossi e Berlusconi per la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici locali, il governo emanava un decreto che, con la scusa di mettere in pratica l'esito del referendum, ripristinava di fatto le norme abrogate. Contro la nuova truffaldina legge, la Regione Puglia promuoveva ricorso presso la corte costituzionale ad ottobre, seguita poi da Lazio, Marche, Emilia Romagna, Umbria e Sardegna. La Corte Costituzionale ha emesso venerdì la sentenza, che dà pienamente ragione ai ricorrenti e dichiara incostituzionale la norma contestata. I giudici costituzionali rilevano come: ?a distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell?avvenuta abrogazione del''art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l'impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell'abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010?. Chiarissimo dunque, secondo la Corte, il colpo di mano anticostituzionale messo in atto dalla maggioranza Lega e PDL per inficiare il voto referendario. Nonostante le furbesche e strumentali prese di posizione pro-referendum di Zaia e Muraro alla vigilia del voto.

Si tratta di una grande vittoria per il movimento referendario e per tutti gli italiani e i trevigiani, che andarono a votare in massa con una affluenza del 58,9%,e che con il loro voto avevano ben espresso la propria diffidenza verso i processi di privatizzazione dei servizi pubblici. Una strada, purtroppo, che ancor oggi viene sostenuta dall?attuale governo, che ha riproposto la privatizzazione dei servizi pubblici. Speriamo che la sentenza riesca ad invertire questa rotta sbagliata che ci porta su una strada già percorsa dalla Grecia, con i risultati che sappiamo. La sentenza dovrebbe comportare un trascinamento delle sue conseguenze nei confronti dei provvedimenti dell'attuale governo, che continua l'opera del precedente nel voler porre scandenze ravvicinate per la dismissione delle aziende pubbliche e per l'affidamento ai privati dei servizi pubblici locali. L'annullamento di questa impostazione ideologica sancito dal referendum e ribadito ora dalla corte riporta la questione dei servizi pubblici dentro l'ambito della normativa comunitaria, che affida agli enti locali e alle loro autorità d'ambito la scelta di quale modello di gestione intraprendere, senza alcuna scelta forzata verso il privato.

Luca De Marco
coordinatore provinciale SEL

venerdì 13 luglio 2012

Reddito minimo garantito: ce lo chiede l'Europa


E' un destino inevitabile per le giovani generazioni quello di convivere con la precarietà ? Doversi adattare a qualsiasi lavoretto, per quanto sottopagato e privo di diritti, nella speranza di accedere ad un vero posto di lavoro che però non arriva mai ? No, non lo è. Si tratta invece del frutto di scelte politiche e legislative ben precise, per niente inevitabili e del tutto modificabili. E' inevitabile che chi non può usufruire di cassa integrazione, o mobilità, o indennità di disoccupazione, sia abbandonato a se stesso, condannato alla disperazione se non ha neppure la possibilità di ricorrere al più potente e presente ammortizzatore sociale del nostro paese, la famiglia ? Neppure questo è inevitabile. E infatti accade quasi solo in Italia, tra i paesi europei.
Il reddito minimo garantito che proponiamo può essere una risposta alla precarietà e alla situazione di abbandono nella quale possono precipitare cittadini e lavoratori, sempre più colpiti dalla crisi, e da politiche pubbliche che anziché contrastare la crisi la assecondano, pur di far contenti ?i mercati?. Rappresenterebbe inoltre un formidabile strumento di lotta contro la precarietà e la cattiva occupazione, eliminando il meccanismo ricattatorio del ?piuttosto che niente? che porta ad accettare qualsiasi offertina di lavoretto. L'Italia ha perso nella crisi 600.00 posti di lavoro, 3 milioni e mezzo nella zona Euro. E in particolare difficoltà sono i giovani: secondo il rapporto OCSE, in Italia aumenta più che altrove la disoccupazione di lungo periodo e i primi a perdere il lavoro sono i giovani, perché impiegati con contratti atipici e precari.
Si tratta di garantire un reddito a disoccupati, inoccupati, sottoccupati e precari, attorno ai 600 euro mensili. Il sostegno economico è rivolto a chi non supera una soglia minima di reddito, i 7200 euro all'anno, ed è condizionato alla disponibilità ad accettare una congrua offerta di lavoro da parte del Centro per l'Impiego, al quale lo stesso reddito minimo va richiesto. Si tratta dunque non solo di una misura sociale, ma di uno strumento di politica attiva del lavoro.
Forme di sostegno reddituale a chi non trova lavoro esistono in tutti i paesi europei, ad eccezione della Grecia e dell'Ungheria.  In un momento nel quale nel nome dell'Europa, quella dei banchieri e dei governi di centrodestra, vengono portate avanti politiche recessive che deprimono l?economia e peggiorano la condizione di vita e di lavoro dei cittadini, introdurre il reddito minimo sarebbe una misura europea di fatto, ma dell'Europa democratica e sociale che è stata il sogno e l'obiettivo alla base del progetto dell'Europa Unita. Il Parlamento Europeo, in una risoluzione dell'ottobre 2010,  affermava che ?l'introduzione in tutti gli Stati membri dell'UE di regimi di reddito minimo, costituiti da misure specifiche di sostegno alle persone con un reddito insufficiente attraverso una prestazione economica e l'accesso agevolato ai servizi, sia uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà, garantire una qualità di vita adeguata e promuovere l'integrazione sociale?, e che ?anche in periodi di crisi, i regimi di reddito minimo non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale della lotta alla crisi,? investimenti tempestivi per contrastare la povertà apportano un contributo importante alla riduzione dei costi di lungo periodo per la società?. Nel giugno di quest'anno, l'Organizzazione per il Lavoro delle Nazioni Unite sosteneva in una sua raccomandazione che i Membri dovrebbero al più presto stabilire e mantenere, in funzione della propria situazione nazionale, sistemi di protezione sociale di base che dovrebbero comportare garanzie elementari di sicurezza sociale. Le garanzie dovrebbero assicurare almeno, per tutta la vita, e a tutti coloro che sono nel bisogno, l'accesso all'assistenza sanitaria di base e ad una sicurezza di un reddito base, che insieme consentono l'accesso reale ai beni ed ai servizi definiti necessari a livello nazionale?. Anche per il reddito minimo, dunque, andrebbe detto ?ce lo chiede l'Europa, e ce lo chiede l'ONU?, anzi l'Europa lo fa già.
Il finanziamento del reddito minimo avverrebbe tramite la fiscalità generale, che a sua volta dovrebbe essere riorientata verso una redistribuzione del reddito, con misure come la patrimoniale e la maggiorazione della tassa sui capitali portati all'estero. Negli ultimi anni vi è stato in Italia un enorme spostamento di ricchezza dai salari ai profitti, e siamo perciò uno dei paesi occidentali con il più alto indice di disuguaglianza sociale. Quasi il 50% della ricchezza è concentrato nel 10% delle famiglie.
Su questa proposta di reddito garantito è partita una campagna nazionale per una legge di iniziativa popolare, alla quale Sinistra Ecologia Libertà intende invitare tutte le forze politiche e sociali e i cittadini che la condividono a partecipare e contribuire con le proprie risorse e le proprie idee. Riteniamo che si tratti di una proposta concreta per affrontare la crisi non all'insegna della austerità e della recessione ma della giustizia sociale e della lotta alla precarietà, e che possa essere un mattone importante per la costruzione di un programma alternativo alle politiche neoliberiste oggi imperanti, attorno al quale aggregare uno schieramento di forze che prenda in mano il Governo di questo paese e lo cambi davvero.

Luca De Marco, Coordinatore provinciale Sinistra Ecologia Libertà Treviso


mercoledì 11 luglio 2012

"Piano Città "


 E’ ormai facilmente verificabile che le “soluzioni” date fin’ora al problema della riqualificazione urbana e della ripresa del settore delle costruzioni non hanno prodotto alcun effetto positivo.
Quindi sollecitiamo un profondo cambiamento alla filosofia operativa fin’ora proposta, un “cambiamento di rotta” che dia i risultati che le città attendono per riprendersi dalla crisi ambientale, sociale, culturale, economica che le investe.
Buone proposte  possono essere quelle riguardanti la riqualificazione  degli edifici scolastici ( con la relativa messa in sicurezza), piani di housing sociale, gli “incentivi per convertire l’attuale patrimonio in edifici ad alta efficienza energetica”, gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie.
Ma per avviarci su una strada che non ricalchi errori già compiuti, illusioni e vane attese, occorre una visione organica che si liberi dall’episodicità di interventi privi di un disegno coerente e di una strategia che affronti la complessità dei sistemi urbani.
Queste affermazioni trovano riscontro nei dati del CRESME e dell’Agenzia del Territorio:
 alloggi invenduti, disponibilità sempre decrescente delle famiglie a nuovi acquisti di case, scarsa propensione delle Banche a concedere mutui in presenza di instabilità economica e precarietà del posto di lavoro soprattutto per i giovani. Sarebbe improvvido forzare ancora gli italiani ad indebitamenti insopportabili per l’acquisto di case (abbiamo il livello di proprietà fra i più alti d’Europa e del mondo). Sarebbe invece opportuno incentivare fortemente, approfittando del momento congiunturale, la locazione, premiando fiscalmente i soggetti che la praticano. Un alloggio in locazione a prezzi calmierati darebbe risposta a quella domanda inevasa di edilizia sociale che in questo momento è particolarmente richiesta da milioni di famiglie in difficoltà economiche. Gli Amministratori, soprattutto nelle grandi città, si trovano quotidianamente di fronte al dramma di famiglie che non sono in grado di onorare gli impegni assunti con un mutuo o con un contratto d’affitto. Gli sfratti per morosità sono aumentati dal 2006 ad oggi del 64 % e i pignoramenti hanno raggiunto il massimo storico.
 Di fronte ad un panorama che vede decine di imprese edili in forti difficoltà, è necessario attivare una nuova strategia che non punti sull’aumento di metri cubi in città già sature di cemento, ne sull’ulteriore consumo di suolo in territori già devastati dallo sprawl edilizio bensì a:
 a) risanare il Territorio con opere di prevenzione dai rischi idrogeologici. Gli eventi naturali sempre più frequenti, producono una accentuazione del danno a causa dell’uso sconsiderato della risorsa suolo. Accanto a norme anche nazionali che regolamentino la pianificazione degli insediamenti nelle aree a rischio, deve diventare una prassi costante l’erogazione di finanziamenti destinati alla cura e salvaguardia del territorio in modo da dare anche alle imprese la possibilità di programmazione
b) mettere a norma gli edifici dai rischi sismici e attivare controlli a campione sulle costruzioni a partire dalle scuole primarie e della prima infanzia
c) fognature, reti idriche, risanamento di siti inquinati da discariche abusive sono provvedimenti che, già previsti per il Sud, dovrebbero essere estesi a tutto il Paese
d) attivare una politica per il risanamento delle periferie che non punti su nuove costruzioni ma sulla dotazione di servizi, di parchi urbani, di spazi aperti destinati alla vita di relazione e alla socialità
e) Investire nella CITTA’PUBBLICA è il primo obiettivo senza il quale nessun rilancio delle città può avverarsi. Gli spazi urbani destinati alla cultura, alla ricerca, alla socialità, al benessere degli abitanti attraverso polmoni di verde costituiscono un importante passo verso la rigenerazione ambientale e sociale
f) Incentivare l’uso di materiali ed eco-tecnologie che aumentino il risparmio energetico e promuovano l’uso di energie alternative
g) affrontare il problema dell’utilizzo degli edifici vuoti, anche di recente costruzione, invenduti a causa della crisi. Un piano per il loro recupero, anche attraverso l’acquisto a prezzi non superiori a quelli stabiliti per l’ERP, salverebbe imprese dal fallimento e darebbe ai Comuni alloggi in rotazione anche da utilizzare per i trasferimenti necessari agli interventi di ristrutturazione urbanistica. La prevista eliminazione dell’IVA potrebbe dare un certo respiro e facilitare l’immissione sul mercato di alloggi a canone concordato
h) usare le aree demaniali come una preziosa grande riserva da destinare al risanamento delle città in termini di bellezza, efficienza, salute , democrazia, attraverso la creazione di una consistente presenza di spazi destinati alla cultura, alla ricreatività, alla socialità, al verde, evitando di considerare queste aree, non pezzi vivi di città, ma solo merce per fare quattrini
i) favorire il trasporto pubblico con mezzi non inquinanti, veloci, economici che rendano accessibili a tutti, tutti i luoghi della città
l) rivitalizzare i centri storici con il mantenimento dei vecchi residenti contribuendo finanziariamente ad opere di risanamento delle abitazioni e mantenendo le botteghe attraverso provvedimenti che regolamentino l’assurdo incremento di affitti insostenibili per la maggior parte delle piccole attività commerciali
 Pensare di risolvere il problema delle città con l’allentamento delle regole urbanistiche ed edilizie, l’aumento di cubature, la deregulation e interventi a pioggia senza una linea di azione che indichi gli obiettivi da perseguire, porterà ad esiti di corto respiro, incapaci di avviare un percorso innovativo come richiesto dalle sfide che il III millennio consegna alle città di tutto il mondo.
Il precedente Piano Casa ha dimostrato l’infondatezza di queste aspettative e la scarsa sensibilità sia riguardo alla qualità urbana già molto, troppo compromessa, che all’autonomia delle Regioni e dei Comuni che hanno la sovranità nella pianificazione dei loro territori.
Ma la cantierabilità e il co-finanziamento non possono essere considerati gli unici paradigmi del Piano Città. Va invece affrontato il problema del Patto di Stabilità che rende difficile ai Comuni il pagamento di opere già eseguite anche in presenza di risorse finanziarie a queste destinate e va reso più agevole ai Comuni il ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti
I progetti di co-finanziamento dovrebbero essere, non eventi sporadici, sparsi in modo estemporaneo nel territorio nazionale, ma venir guidati da un disegno strategico volto a consolidare la Città, Pubblica, ad aumentare la dotazione di spazi verdi, a risanare il territorio, a rendere le periferie più sicure, più belle, accoglienti e inclusive.
Nota per il Ministro Passera e Viceministro Ciccia sul Piano città dagli amministratori di Sel e indipendenti
tratto dal Forum SEL BETA  Beni Comuni Energia Territorio Agricoltura