Filosofia di vita

«Siamo belli perché siamo pieni di difetti, non perché siamo onnipotenti, ma perché siamo fragili, perché ci tremano le gambe, perché siamo goffi, perché abbiamo paura, perché abbiamo bisogno di amore, per questo siamo belli!»

Nichi Vendola

domenica 14 aprile 2013

Indecenza pubblica



Contro il decoro, il saggio di Tamar Pitch è un rapido attraversamento delle scelte nazionali e locali che squarcia il velo ipocrita del discorso pubblico dominante e mostra il carattere illiberale e classista della retorica sul decoro.

Il trentennio che ha visto ritrarsi il welfare ha insistito molto sulla paura, sul rischio e sulla necessità per ognuno – lasciato solo nella responsabilità o nella colpa – di saperlo prevenire. Nello stesso tempo ha depoliticizzato ogni conflitto, riducendo qualunque dialettica a quella tra vittima e carnefice.
In questa costruzione di senso, il decoro e l’indecenza si integrano. E’ così possibile vedere all’opera il paradosso di una classe politica tra le più  immorali farsi guardiana della moralità e, nel suo nome, diventare protagonista delle più feroci politiche di controllo e sicurezza.
Tamar Pitch ripercorre alcune figure diventate oggetto delle politiche nazionali in difesa del decoro: ultrà, tossicomani, prostitute, migranti, donne. Ci ritorna subito dopo, nel capitolo sulle politiche locali, analizzando le ordinanze dei sindaci. Così di nuovo troviamo nomadi, mendicanti e giovani, destinatari del nuovo potere dato ai sindaci dal decreto berlusconiano sulla sicurezza.
Davvero significativa la ricostruzione della vicenda del Daspo, provvedimento preventivo che può essere preso in assenza di un reato, e della tessera del tifoso. Così la legislazione sulle droghe, che punisce principalmente il consumo personale di giovani e migranti, con una discriminante sociale e generazionale molto forte.
La stessa impostazione discriminatoria si trova nel disegno di legge sulla prostituzione dell’allora ministro Carfagna. Qui l’ipocrisia pubblica raggiunge vette altissime: basti pensare alla contemporanea legittimazione del “consumo finale” della prostituzione per bene.
Ma lo stesso segno hanno i provvedimenti dei sindaci, tutti tesi, sull’onda della retorica del decoro, a nascondere i poveri, i mendicanti, gli stranieri. La lettura di queste pagine riapre alcune ferite: fa male scorrere i nomi di tanti sindaci di centrosinistra, non facilmente distinguibili dai colleghi di destra. La cosa stupisce fino a un certo punto.
La miseria è tornata ad essere una colpa. La società è stata divisa in “persone perbene” e “persone permale”. Contrapposizione che attraversa anche il cuore del dispositivo del decoro, il corpo femminile, e che ha dato luogo anche a un vivace dibattito tra donne. In questo quadro, Pitch colloca la sua critica – non condivisa da chi scrive – a Se non ora quando?, che avrebbe avuto accenti subalterni a questa divisione decoro/indecenza. Non nego che possa esserci stata in alcune tale ambiguità, ma non credo sia questa la cifra politica della manifestazione del 13 febbraio 2011 e del movimento che ne è nato. Piuttosto si è trattato di una  presa di parola autonoma in una scena pubblica dominata, a destra e a sinistra, da parole maschili complici o inadeguate.
Dunque in anni di crescita della diseguaglianza, in cui è avvenuta la più grande redistribuzione del reddito dal secondo dopoguerra, in cui la precarietà è diventata paradigma esistenziale per intere generazioni, in questa società fortemente diseguale, l’ideologia del decoro è stato il modo in cui garantire ordine e sicurezza, una forma di disciplinamento del ceto medio impoverito e impaurito, di controllo sociale dei giovani, dei migranti, delle donne.
Mentre la classe agiata del capitalismo finanziario esibisce e ostenta lusso, ricchezza e mercificazione dei corpi e della vita, per tutti gli altri c’è il decoro, lo stare al proprio posto, nel modo giusto. Come le case povere, ma ben tenute. Decorose, appunto.
Nulla a che vedere con la dignità o con l’austerità di una volta. Oggi il decoro dovrebbe sorreggere un’austerità che si sostanzia in una riduzione dei diritti. L’apparente cambio di regime che si è avuto con il passaggio al compassato rigore del governo Monti, non essendo intervenuto sulla discriminazione sociale che reggeva l’estetica del burlesque berlusconiano, non ha prodotto quel mutamento etico che qualcuno si aspettava. Ed eccoci qua, stretti tra il permanere delle disuguaglianze e delle sue sofferenze e la protesta senza progetto delle sue vittime in rivolta.

Cecilia D’Elia
Tamar Pitch (Contro il decoro. L’uso politico della pubblica decenza, Laterza).

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