La ridefinizione delle province decisa dal Governo Monti è un provvedimento molto carente dal punto di vista tecnico, frutto di frettolosità e superficialità e di una ideologia accentratrice. Si conferma o si boccia l’esistenza di province in base a criteri arbitrati e immotivati, il criteri quantitativi di almeno 350.000 abitanti in una superficie superiore a 2.500 kmq, e il criterio politico di ospitare capoluoghi di Regione (si salva così Campobasso). Nessuna valutazione qualitativa, nessun disegno di riorganizzazione generale dell’articolazione della Repubblica nel quale inserire il provvedimento. Solo ansia di tagli, come se bastasse l’agitar di mannaia per costruire un modello più efficiente di governo locale.
Siamo di fronte ad un processo di estrema verticalizzazione e centralizzazione dell’assetto statale, e ad una riduzione della possibilità di scelta e di partecipazione dei cittadini. Infatti a fianco della riduzione del numero delle province, procede l’idea di farne degli enti non più espressione del voto popolare, ma di spartizioni tra le segreterie dei partiti maggiori presenti nei consigli comunali del territorio provinciale. I cittadini potranno solamente apprendere dai giornali quale presidente della Provincia i partiti hanno scelto di nominare. Figurarsi quali possibilità di partecipazione, o anche solo di confronto e dialogo, potrebbero avere con una istituzione i cui vertici rispondono ai partiti e non agli elettori.
Si inverte inoltre un processo di decentramento avviato, ormai da anni, all’insegna della sussidiarietà tra livelli di governo. Alle nuove province verrebbe tolta la competenza sulle politiche del lavoro, attive e passive, e sul sistema socio-economico in generale. Verrebbe così colpita la concertazione territoriale, tanto osteggiata dal premier Monti, e che però ha rappresentato e rappresenta uno degli elementi di tenuta e di possibilità di ripresa dello sviluppo locale. E quale nuovo modello di gestione dei centri per l’impiego si profila, nel momento in cui la crisi sociale ed economica dovrebbe portare ad un rafforzamento e ad una qualificazione di questi presidi pubblici e non magari ad un loro ritorno a logiche di funzionamento di tipo ministeriale, o peggio ancora alla loro liquidazione a favore del privato ?
Ci pare svilente e indegno di un paese serio, l’aver avviato un dibattito sullo spostamento di confini, se tu dai un comune a me io poi do un comune a te, per rientrare o meno negli astratti parametri del governo, senza che venga in primo piano la questione di come dare risposte nel modo migliore ai problemi dei territori, la crisi occupazionale ed economica, la fragilità ambientale, un governo del territorio più ordinato e più sostenibile, la qualificazione e non la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, un sistema di trasporto pubblico che liberi dalla dittatura obbligatoria del trasporto privato, la sicurezza e l’adeguatezza dei luoghi di studio e di lavoro. A questo livello di discussione si può anche porre la questione del’esistenza stessa delle province, ma quella che cammina oggi è invece la logica opprimente e sciocca dei tagli, che applicata in questo contesto non comporta risparmi significativi di denaro ma solo riduzione di democrazia e di rappresentatività delle istituzioni.
In questo contesto la questione relativa al futuro della sede del Sant’Artemio, ammesso e non concesso che si vada verso una sparizione totale dell’Ente Provincia che attualmente non è all’ordine del giorno, va secondo noi posta in termini opposti rispetto a delle bizzarre proposte emerse negli ultimi giorni. Ci opponiamo ad una privatizzazione del complesso del Sant’Artemio, tanto più per farne un luogo ad esclusiva frequentazione di senatori ed altri ricchi o ricchissimi, o ad una sua cessione per utilizzi privati, e riteniamo che invece quel complesso debba essere considerato come un bene comune della collettività trevigiana. Ricordiamo in proposito le battaglie che tanti cittadini e associazioni fecero anni fa affinché si bloccasse la speculazione edilizia che il Comune di Treviso intendeva autorizzare sul complesso messo in vendita dall’ULS. La rottura tra Zaia e De Poli produsse poi la scelta di localizzarvi la sede della Provincia, destinata altrimenti all’area Appiani, accompagnata da una promessa di apertura alla cittadinanza e alla collettività del complesso ex manicomiale che però non è stata mantenuta. Quello che si è realizzato è invece un mero spostamento degli uffici dispersi della provincia dentro il Sant’Artemio, in una sede sovradimensionata, come dimostra la recente cessione di un padiglione al Ministero dell’Istruzione. Per questo da tempo chiediamo che ci sia la messa a disposizione della collettività di quegli edifici non ancora presi per mano, che nel progetto originario erano destinati a ospitare il museo della psichiatria e l’archivio fotografico provinciale. E ricordiamo che l’edificio che nel primo progetto era destinato a foresteria, è stato invece adibito a stamperia per gli inviti della provincia. Chiediamo che il Sant’Artemio possa essere davvero, e non solo sugli slogan propagandistici, la casa dei trevigiani. Per questo chiediamo: l’accordo con la Fondazione Cassamarca per realizzare attorno a Villa Franchetti il campus universitario entro il febbraio 2016, con la costruzione di un enorme auditorium e alloggi per docenti e studenti, ha reali possibilità di avanzare ? o non è forse il caso di ridimensionare le pretese e aprire un tavolo con Cassamarca e i soggetti coinvolti con il sistema universitario di Treviso per verificare la possibilità di inserire il Sant’Artemio in questo contesto ?
In definitiva, ci sentiamo lontani sia dalle ipotesi di riforma arruffona e demagogica del Governo, tesa ad allontanare ancor più i cittadini dai luoghi dove si sceglie della loro vita, sia dagli atteggiamenti corporativi degli amministratori provinciali che non distinguono il loro destino personale dall’esigenza primaria a cui ogni funzione ed ogni livello di governo deve rispondere, e cioè dare soluzione ai problemi e alle questioni presenti in un territorio e in chi lo abita. Siamo contro la privatizzazione della politica e dell’amministrazione, e riteniamo che oggi il problema fondamentale della nostra democrazia sia quello di riaprire spazi pubblici, sia fisici che politici, nei quali possa venire in primo piano il protagonismo dei cittadini, e siano relegati sullo sfondo i potentati economici e finanziari che oggi surclassano le istituzioni e le amministrazioni pubbliche.
Luca De Marco
Coordinatore Provinciale
Sinistra Ecologia Libertà
Treviso