Il dibattito politico e culturale che in questi giorni sta affrontando il mondo della “sinistra” è quello della necessità di ritrovare modi e forme per una buona politica nel nostro Paese.
E’ questo, però, il primo punto particolarmente dolente: come possiamo parlare di buona politica se siamo di fronte alla sua crisi, se siamo di fronte alla presenza di un governo tecnico che interpreta convenienze di mercato e comprime le nostre vite , se siamo di fronte all’indignazione di tanti cittadini che denunciano il degrado, le ingiustizie, le difficoltà sentendosi però contro la politica e vivendo la frustrazione di una perdita di senso per una alternativa? Sembra paradossale, ma la risposta ci viene proprio dalla politica stessa vista, però, nella sua essenza, cioè nella prefigurazione di un mondo più giusto, nello sguardo verso la fragilità dell’umano, in una progettualità rivolta al bene comune, nella dimensione dell’ eticità, della gratuità e della partecipazione collettiva.
E’ questo il secondo punto: la democrazia partecipata. Il forte movimento per l’Acqua Pubblica e contro il Nucleare, i movimenti No Tav e No Dal Molin, le proteste dei precari e degli studenti e , non ultimo le vittorie dei sindaci De Magistris, Pisapia e Zedda hanno chiaramente indicato che nella nostra società è fortemente sentito il bisogno di esserci, di esserci consapevolmente su progetti condivisi, di fare parte, insomma, di un’idea condivisa di società, per i diritti, per la difesa del territorio, del lavoro e delle tutele sociali.
L’esperienza ci insegna però, che le vittorie ottenute non sono avvenute escludendo la politica, ma mettendola al centro stesso del problema.
E’ importante pensare che i beni comuni ( penso all’acqua ad esempio) siano non solo gestiti da Enti pubblici, ma debbano recuperare una dimensione della collettività nei modelli di gestione. Questa è una visione politica che dovrebbe riguardare tutti i beni pubblici . Il bene comune dovrebbe essere un modello delineato nei parametri della democrazia e quindi nei parametri della partecipazione dei cittadini.
Il disegno lucidissimo della privatizzazione del tutto per i profitti di pochi, la dilagante speculazione immobiliare, la distruzione continua di territorio, la precarietà e la mancanza di lavoro, la crisi verticale della democrazia, tutto ciò ci dice che è urgente e necessario un cambiamento soprattutto culturale nella nostra idea del fare politica che deve passare attraverso la costruzione di un nuovo pensiero culturalmente alternativo per ridare una prospettiva alla “buona politica”.
La politica (e non la tecnica) intesa come idea condivisa di società diverrebbe lo strumento non solo della buona amministrazione, ma della progettazione del senso del vivere collettivo dove l’uomo possa sentirsi tale .
Se la progettazione del mondo non la faranno i cittadini attraverso la politica mettendo al centro l’idea di bene comune, allora la farà qualcun altro, altri poteri con altri obiettivi.
La strada che si sta delineando è questa ed è necessario organizzarsi nei singoli territori, creando luoghi inclusivi , mettendo in moto idee, relazioni, iniziative aperte, nuovi fronti .
Se si metteranno in connessione tutti coloro che hanno a cuore e si spendono per la collettività senza pregiudizi di sorta, senza protagonismi o autoreferenzialità sarà possibile ritrovare la politica e sarà possibile ridare alla “buona politica” una seconda occasione.
Fiorella Fighera
Nessun commento:
Posta un commento